lunedì 21 marzo 2016

Giornata mondiale della poesia. Mariangela Gualtieri, Bestia di gioia

Oggi è la giornata mondiale della poesia.
Il miglior modo di festeggiarla è quello di comprare e leggere un libro di poesie.
Tra i tanti bei libri nei trascurati scaffali del settore poesia oggi suggerirei questi versi della poetessa e attrice Mariangela Gualtieri.


BESTIA DI GIOIA

da Naturale sconosciuto

Certi alberi vicini alle case
 sostano in una pace inclinata
 come indicando come chiamando 
noi, gli inquieti, i distratti 
abitatori del mondo. 
Certi alberi stanno pazientemente. Vicini
alle camere nostre 
dove gridiamo 
a volte di uno stare insieme
che ha dentro la tempesta
noi che devastiamo 
facce care 
per una legge di pianto. 


Mariangela Gualtieri, Bestia di gioia, Einaudi, 2010

Cliccando sul titolo evidenziato, ascoltiamo la voce dell'autrice attrice, in questa ripresa dal vivo, recitare la sua Sii dolce con me, sempre tratta dalla raccolta Bestia di gioia.



mercoledì 24 febbraio 2016

Fuocoammare. Un film necessario




Tra gli italiani in sala da non perdere il film di Gianfranco Rosi, Fuocoammare, vincitore dell'Orso d'oro al Festival di Berlino.
Direi che è un film necessario. 
Senza commenti in over voice né didascaliche spiegazioni, mostra il tempo  che scorre tra i pini e gli scogli di Lampedusa, la vita quotidiana di un ragazzino, di cui il regista sfrutta benissimo la spontaneità, quella dei pescatori attraverso le canzoni a loro dedicate alla radio locale, i poveri interni dei lampedusani e intanto le voci disperate dai barconi registrate dalla radiomobile della guardia costiera. 
Un medico del locale pronto soccorso  racconta del dovere di aiutare quella gente, del  dolore nel vedere i bimbi morti, dolore cui non ci si abitua. 
Anche quando Rosi segue i soccorsi in mare, lo fa stando lì senza tante parole. Con immagini dure, partecipi, asciutte.
È la nostra tragedia attuale, come per la generazione dei miei genitori la guerra. La viviamo un po' da lontano, almeno per ora, poi ci rimbalza in casa con le schegge dei terrorismi, con i problemi dell'integrazione, con i razzismi e un odore di anni trenta europei che sale e spaventa.



venerdì 1 gennaio 2016

Fiori del mare di Gianni D'Elia. L'ispirazione


Per aprire il nuovo anno vorrei consigliare un bel libro della collezione bianca di poesia Einaudi, l'autore è Gianni D'Elia (classe 1953) un poeta pesarese, noto ma forse non ancora abbastanza riconosciuto dal grande pubblico (se mai c'è stato un grande pubblico per la poesia nel nostro paese).
Il libro parafrasa il titolo di Baudelaire, autore che D'Elia ama e traduce, così come finemente conosce i grandi poeti della tradizione: da Dante a Leopardi fino a Pasolini. 
Autori che ha affrontato in bei saggi e in lucide, emozionate, dense e "nutrienti" lezioni di approccio alla poesia presso università o librerie.
Nei suoi Fiori del mare scava nei paesaggi della costa adriatica e in quelli dell'Italia. I suoi sguardi non hanno nulla di localistico e, come Fellini, parte dalla provincia per raccontare il mondo e la vita, trovando nei versi le parole in cui ci sentiamo compresi. In essi ci rispecchiamo e arricchiamo i nostri pensieri.
Vorrei citare una poesia che mi sembra renda bene l'idea del suo paziente lavoro di ricerca, di lettura dei testi e dei contesti, di flâneur adriatico attento alla sostanza del mondo.

L'ispirazione

Non è forse la spiaggia l'oasi e il deserto,
il volto butterato di una vecchia, al concerto,
la gota liscia e fresca della riva,
la spuma e la sabbia della sua saliva?...

Sulla spiaggia, tutta piatta, sabbiosa,
così graziose, per forme e colori,
piccole barche, verdi, rosse, rosa,
da far pensare a dei semplici fiori...

Sguardo sul mare, sguardo sul latente,
se non ancora una filosofia,
è un primo germe, indubitabilmente,
allo stato nascente, sulla sua scia...

Noi, che viviamo una vita espressiva,
nell'esperienza delle cose prime,
dentro alla dittatura comunicativa,
che nella rete illude quanto opprime...

Non metto nei miei quadri tanta ricca pittura,
né più alti argomenti ricerco nei miei versi,
ma di questo luogo seguendo i più diversi
fatti buoni o cattivi, io scrivo all'avventura,

nient'altro che diari, o forse commentari,
AMICIS ET NE PAUCIS SEMPER GRATUS...


Dalla sezione Sala degli esercizi dal vero, in Gianni D'Elia, Fiori del mare, Einaudi, 2015, 15 euro




domenica 15 novembre 2015

Intervista a Gaudino sul suo film "Per amor vostro"



Di solito si concludono le interviste chiedendo dei nuovi progetti in corso d'opera, stavolta inizio chiedendoti a che punto è il tuo progetto su Pompei?

Non ne parlerei, non per scaramanzia ma perché vorrei parlare di cose concrete, più concrete possibile, non di intenzioni. Tra la gestazione di Giro di lune e questo film sono passati 19 anni, non voglio far passare di nuovo troppo tempo...

Per amor vostro era un progetto precedente a quello di Pompei?

No. Pompei è prima di Giro di lune,  Per amor vostro è stato ideato e ha vinto un premio per la sceneggiatura nel 2008 ed è stato realizzato nel 2014.



Come è avvenuto il coinvolgimento del cast? Come sei arrivato a Valeria Golino?

Valeria l'ho corteggiata quasi due anni e mezzo fa. Non mi rispose, quindi pensai ad un'altra attrice di cui mi ero e sono tuttora innamorato, ma con l'andar del tempo mi sono reso conto che avevo bisogno di un'attrice un pochino più giovane per poter fare il nido, la covata; era difficile che una donna di sessanta anni si potesse ribellare. Mentre Valeria con i suoi 48 anni era giusta con l'età per poter decidere di cambiare vita.
Quindi ho sentito Valeria Golino un anno e mezzo fa, ha letto la sceneggiatura che la prima volta non aveva letto. Ha detto "ci sto, non so cosa succederà, ma nel progetto ci sto". Con lei poi abbiamo  costruito tutto via via.



Hai raccontato che la sceneggiatura di Per amor vostro era di ferro, anche se si ha l'impressione che il film abbia una musicalità di ritmo che a volte fa pensare a spazi di improvvisazione, quasi da free jazz.

Ci sono solo tre scene che abbiamo spostato in blocco interno, ma anche le altre scene spostate erano già costruite in quella maniera lì. La composizione della musica è stato un lavoro di molti mesi, quasi un anno con i musicisti, per cercare il tema, per cercare questa musicalità, per cercare la possibilità di montare musicalmente la storia. Non potevo girare le scene senza avere la musica, anche il semplice tema.
Per cui la costruzione del film può sembrare libero, ma è soltanto una concentrazione di ritmo interno alla storia. Le scene erano scritte in quella maniera.
Anche passare dal dettaglio al totale era già scritto in sceneggiatura. Noi abbiamo girato come era scritto. Siamo stati molto diligenti. Alle volte poi io chiudo la sceneggiatura e giro quello che penso, io sono il notaio di me stesso. Ma se succede qualche imprevisto: l'attore non è in grado di farlo, le comparse non arrivano, nell'incidente si modella la storia all'interno delle possibilità che avevo, ma questi momenti hanno sempre tenuto fede alla storia. Ogni giorno c'erano tre scene da girare e queste scene erano già scritte, mandate a memoria da tutti.

Quindi la musica è già presente prima ancora del montaggio?

Sì la musica era stata già composta con strumenti campionati e l'abbiamo usata durante il montaggio. Poi alla fine del montaggio una volta deciso il minutaggio esatto, (togliere 5 secondi in una musica è complesso), si è aspettato il montaggio definitivo, abbiamo fatto il timing esatto e abbiamo inserito le musiche.

Questo dà un grande ritmo al film.

La cosa importante è che gli Epsilon Indi sono stati molto intelligenti. È un gruppo che si allarga e si stringe nelle varie occasioni, noi lavoriamo con loro da molti anni. Hanno avuto l'intelligenza di seguire o anche di abbandonarsi alle mie paturnie per raggiungere quella qualità. Sono riusciti, pur essendo romani, a scrivere ed eseguire in napoletano, ad immergersi in una dimensione che non gli apparteneva. Si sono fidati. Gli sono grato. Hanno capito che bisognava spiritualizzare queste emozioni. Anche nella musica rielaborata del Quartetto Cetra o quella su testo di Händel, la combinazione sonoro-scena è molto forte e vincolante.

Ho notato che il suono è quasi onnipresente, persino nella scena d'amore sul ciglio del territorio vulcanico, (scena che mi ha ricordato il finale di Notti di Cabiria),  c'è un suono inquietante, un rumore quasi infernale.

Lì c'è stato un grande lavoro di montaggio del suono, abbiamo usato 56 piste per fare quel suono. Una volta montato il film aveva una sua immagine anche sonora. Finito il montaggio della scena sono iniziate ben otto settimane di suono. Abbiamo dato corpo a questa qualità, per renderlo più essenziale ed inerente alla storia.
Il gruppo del suono era di cinque persone.
In quella scena d'amore di cui parlavi ho cercato un suono che potesse evocare qualcosa pur non essendo naturalistico. Il lavoro e il costo del film è anche potersi permettere di stare al mixer per tot settimane.



A me sembra che attraverso il tuo curriculum in qualche modo hai unito due elementi che rendono più prezioso questo tipo di film, ovvero l'elemento artigianale del cinema d'avanguardia che si fa quasi da soli, penso alle prime avanguardie (Man Ray, etc) e dall'altro lato  il lavoro di documentazione, di cinema del reale girato in mezzo mondo che forse toglie il rischio di scientificità un po' fredda che hanno certi film d'avanguardia che sembrano fatti in una dimensione un po' chiusa in se stessa.

Non sempre è facile tenere insieme questi due mondi, non sempre lo si riesce a far capire bene anche ai propri collaboratori. A volte la cultura va avanti con la concatenazione e con le formule. La fatica è cercare di mantenere il rigore, di mantenere un livello di linguaggio alto. Volevo mantenere in Per amor vostro quelle aperture che non erano solo un fatto estetico, ma di dinamica della storia.
In altri paesi sono più avanti di noi perché sperimentano di più; da noi la pigrizia dei produttori, e non solo la loro, frena il lavoro sul linguaggio. Lars Von Trier  o Lynch sono i detentori della sperimentazione.


Oltre alle citazioni felliniane ho trovato infatti anche qualche accento lynchiano.

Sono citazioni inconsapevoli, poi è evidente che se tu spettatore hai scoperto il cinema con Fellini, vedi degli elementi felliniani nei film che vedi, o se lo hai scoperto con Dziga Vertov o con Kazan hai quello come schema culturale. Non mi sono  detto: "faccio citazioni di Fellini o di Visconti", ho preso da queste memorie quello che mi interessava, mi interessava di raccontare una sensazione. E loro mi hanno dato la libertà, la possibilità di poter raccontare così una storia. Essere sicuro di potermi agganciare, di essere libero. Non è un film di citazioni, ho solo citato Eduardo De Filippo perché mi era necessario, così era nata l'dea sull'ignavia e sul mercato nero ancora presente a Napoli negli anni cinquanta e sessanta.
Rispetto alle citazioni viste nel film da parte degli spettatori mi dispiacciono solo se sono argomentate male, altrimenti non c'è niente di male.
Il grande lavoro è stato quello di creare dei nessi tra i vari blocchi narrativi, nessi che non sono lineari. Gli sceneggiatori mi spingevano a spostare alcuni momenti perché secondo loro sarei arrivato più velocemente, ma io dicevo che non volevo arrivarci velocemente ma progressivamente, con una dinamica imprevedibile. Non volevo fare Un posto al sole. Quando giravamo a Napoli la gente ci chiedeva se eravamo di Un posto al sole o de La squadra. Tutti avevano quei riferimenti, questo crea un meccanismo perverso.
Un regista indipendente la difficoltà che ha è quella di tener sempre ferma la barra e far capire che non sprechi denaro e che non sei gestibile. Non volevamo essere originali in maniera fine a se stessa, ma volevamo raccontare una dimensione mentale, un meccanismo, e l'altro è fare affiorare la memoria degli spettatori. Le citazioni come diceva Borges sono solo dei casellari per incasellarci ma non è il modo giusto per avvicinarsi alla storia.
La storia parte da questa donna che fa i gobbi per le fiction televisive. Li ho visti in uso quando come scenografo lavoravo in tv. Li usava anche Chiambretti, che, per le sue stupidaggini così calcolate e col ritmo di lavoro così disumano, aveva bisogno di quei cartelli.
Così ho provato a mettere in scena tutto questo, provare a raccontare il rovescio, con la finta soggettiva.
Abbiamo girato tutto in sequenza, in piano sequenza e con le scene concatenate, non c'era la possibilità di agganciarsi a nulla e gli attori lo sapevano che dovevano rimanere sempre in tensione. È stato uno sforzo per tutti. È stato un terno che abbiamo vinto.
Seguivo l'attore e non la macchina.
A volte chi lavora nel cinema ha la tendenza di seguire delle strade precostituite, c'è una routine che invece io scardinavo, dopo tre quattro giorni di lotte per farmi capire, si sono abbandonati completamente  al mio modo di costruire la storia.



Come costruisci un soggetto e una sceneggiatura?

La prima scena che ho scritto è la scena sul terrazzo, tra la madre e la figlia, che inizialmente era molto più lunga. Poi ho scritto tutte le scene delle liti in famiglia. Successivamente le scene della soap opera che erano molte di più e molto più intrecciate.
La costruzione della sceneggiatura si è evoluta, sentivo la mancanza della sorella, del fratello e di volta in volta discutevamo di cosa ci fosse bisogno  per la storia. e di volta in volta abbiamo costruito delle sotto storie, dei personaggi che ruotavano intorno ad Anna. Ad esempio inizialmente le figure della truccatrice e del direttore di scena erano più sviluppate. Lei si confidava su come ingannare i figli per poter fuggire con l'amante. C'erano più livelli di narrazione
Poi il lavoro più grande è stato con Isa e con Lina Sarti, che è mia suocera. Con lei avevo scritto Pompei. È una signora di 82 anni.  È laureata in lettere antiche, ha avuto la curiosità di leggere le mie storie. Abbiamo sperimentato su Pompei. Lei è un ottima lettrice, è  colta, conosce e sa tradurre bene dal latino ed è anche una spettatrice di Un posto al sole. E io avevo bisogno di un avvocato della storia. Poi per un po' si è assentata, quindi lavoravamo io e Isa a Roma. Poi via mail o via skype comunicavamo con lei che è a Rovigo.



 Immagino che sia molto difficile per un artista uomo descrivere la storia di una donna, vedere attraverso uno sguardo che non gli appartiene. Come mai questa scelta?

Forse inconsapevolmente mi capita di comunicare con la sfera femminile molto più spesso che con quella maschile e poi c'è il fatto che a me piace, per dirla scherzosamente, essere un uomo e non un caporale.
Va bene che il maschio si occupi del suo mondo e faccia il maschio ma mi sorprendono e mi piacciono di più quei film che come Veronika Voss di Fassbinder riescono a regalarci una visione insospettata che può essere colta diversamente.
C'è un rischio più alto. Certo io ho avuto l'aiuto di due sceneggiatrici donne, ma posso dire che se c'era qualcosa che come maschio non mi piaceva non l'ho accettata.
Credo che sia una deficienza che vada colmata; è strano pensare che a degli attori uomini il raccontare una storia di donna li faccia sentire portatori d'acqua e non portatori di intelligenza e di umanità. Verificare questo da parte di grossi attori del nostro cinema è un po' triste, pensavo che nel 2015 la bravura fosse frutto anche della loro intelligenza, invece hanno dimostrato la loro miseria.
Non fare il ruolo di Michele perché non è il protagonista e perché ha otto scene, non mi sembra una scelta intelligente, è un film corale non posso cambiare più di tanto, ho anche provato a spostare qualcosa in sceneggiatura, ma se è un film corale tale doveva rimanere. Evidentemente alcuni preferiscono l'apparire all'essere.
Mentre sono felice di aver incontrato una attrice come Valeria che pur essendo una diva, vuole essere e non apparire.
[...]
Non voglio fare sociologia o antropologia però credo che avere l'occasione di raccontare diversamente può farci abituare a pensare diversamente le cose e su questioni pensate diversamente si possono sedimentare altri pensieri e nuovi modi di vedere il mondo.



Nel tuo film c'è una dimensione di stratificazione che non è solo linguistica, ma c'è anche nei vari livelli della città, la Napoli di sopra, la Napoli sotterranea delle catacombe o la Cripta di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco. Tu dici non sono un antropologo, ma hai una curiosità antropologica.

Io non sono bravo a teorizzare, sono bravo ad individuare le contraddizioni, i poli estremi che possono essere sintomatici di qualcosa. L'antropologo sa decodificare, un film può mettere accanto due scene e poi è lo spettatore che crea i nessi.
La bellezza di Napoli, e l'ho usata come scenografia, è che è essa stessa una contraddizione vivente.
Ad esempio il rito delle anime di quella cripta è stato vietato da più di quarant'anni, ma ancora vedi dei lumini e dei messaggi. E l'idea che ci si affidi ai resti di uno sconosciuto, mai identificato è un segno di speranza e di empatia. A me come essere umano dà fiducia che ci possa essere ancora empatia, non conoscersi e sentirsi uniti tra gli ultimi. Ma dall'altro capisci che non è un sistema, sono piccoli momenti isolati di fantasia, di "follia", di evasione che tranquillizza ma che se fosse più diffusa questa empatia non ci sarebbero queste grandi contraddizioni.
L'aspetto negativo di Napoli è che c'è il gusto a fare il furbo, mi auguro che questo gusto si perda, risolve il problema della contingenza ma che non fa evolvere la situazione, gli altri si sentono presi in giro.
La truffa del mattone nei mercati di Napoli è famosissima, Nanni Loy ci ha fatto un film.



Quali sono state le collaborazioni che ti hanno dato maggiori soddisfazioni?

Un momento veramente importante è stato l'insegnamento che mi ha offerto la collaborazione con Gianni Amelio nei due film che ho potuto fare con lui (Il ladro di bambini e Lamerica, un anno dopo l'altro). Gianni è sempre attento all'ambiente, elabora la sua storia sulle caratteristiche dell'ambiente, sulla suggestione, sulla qualità del colore che mette in scena. È uno che racconta anche con l'ambiente, con la messa in scena. Io sono stato felice di essere stato scelto da lui.
Ho dei momenti felici con i miei musicisti, con gli Epsilon Indi.
Poi c'è stato un bell'incontro con Vittorio De Seta che stava preparando il film Lettere dal Sahara e che aiutavo a cercare risorse finanziarie per girarlo. Mi aveva conosciuto per Giro di lune e aveva capito che avevo uno spirito indipendente e che non delegavo ad altri. Non è che sposasse la mia linea poetica però ha riconosciuto la mia intelligenza e questo mi ha fatto piacere.
Ho anche conosciuto autori che lavorano in maniera diversa dalla mia, facendo un cinema più di parole che di immagini. Poi ho fatto degli spettacoli teatrali da Beckett (nei primi anni ottanta) e da autori di avanguardia contemporanea trovando una grande complicità con una mia amica regista.

Sul set de Il ladro di bambini hai anche girato un documentario su Amelio, una sorta di backstage, Ioannis Amelii, Anima Vagula, Blandula.

Quello potevo farlo perché c'era una tale complicità tra me e il maestro che acconsentiva che sul set ci fosse una telecamera accesa perché sapeva che mi serviva per essere "il suo occhio". Spesso rivedeva i filmati e faceva le sue scelte per le scenografie. Per cui accettava che vi fosse sul set la mia macchina da presa, cosa che su un set è molto difficile che avvenga. Se hai visto il film avrai notato che spesso io mettevo la macchina e poi alla fine coincideva con il suo punto macchina, e questo è coinciso in maniera sorprendente. Poi in effetti il maestro mi ha sempre detto: "non è importante dove metti la macchina da presa, puoi far fare questa scelta alla sarta, non sta lì il problema della regia". Io ho imparato tante cose del lavoro. Lui stava facendo due film che credo rimangano nella storia del cinema italiano: Il ladro di bambini e Lamerica.

Il documentario si conclude con una scena in cui tu fai sfilare tutta la troupe nella casa del carabiniere a Roma e quel finale mi ha molto emozionato perché si vede uscire di scena anche mio cugino Ubaldo Panunzi, attrezzista e trovarobe su quel set, che purtroppo è uscito troppo presto di scena anche dalla vita.


sabato 17 ottobre 2015

Gaudino presenta "Per amor vostro" a Pesaro. Il rito collettivo della sala.


Pesaro. Mercoledì 14 ottobre il regista Giuseppe M. Gaudino ha presentato il film "Per amor vostro", vincitore della Coppa Volpi a Venezia per la migliore attrice protagonista: Valeria Golino.
La sala A del cinema Solaris era gremita, qualche posto libero solo in prima fila. 
In epoca di parcellizzazione della visione e di solitudine della fruizione è un bel segno di resistenza del rito collettivo della sala,  del piacere della discussione e dell'incontro con l'autore del film.



Dopo la proiezione Gaudino ha infatti dialogato a lungo con gli spettatori, rispondendo alle domande e raccontando la genesi del film, il tentativo di rappresentare una storia e il sentimento di una donna, i suoi lati "oscuri", la sua ignavia (che è anche rappresentativa del nostro tempo), e il suo tentativo di riscatto.
Nel film ci sono molti piani di lettura (con numerose metafore e un cinema di poesia che alterna realismo -il presente è in bianco e nero, sui toni del grigio - con parti più "folli" e libere: i flashback e le parti oniriche a colori o animate digitalmente).
Una pellicola con molti strati, come i livelli della città dove si svolge la vicenda: Napoli, con i suoi splendori e le sue brutture, i suoi vicoli, i suoi sotterranei e le sue catacombe. Con i vivi e i morti che sembrano scambiarsi i ruoli.
Un film che chiede allo spettatore l'impegno dell' interpretazione, ma regala il gusto di una densità visiva e la qualità alta di un cast corale,  condotto magistralmente dal ruolo di Anna, la Golino che ha meritatamente rivinto la Coppa Volpi a Venezia, dopo quella  per "Storia d'amore" di Citto Maselli nel 1986.


Foto 1: Gaudino, Giannini, Golino, Gallo alla Mostra di Venezia; foto 2: un fotogramma del film; foto 3: Valeria Golino premiata con la Coppa Volpi.

lunedì 14 settembre 2015

Materia preferita: libri. Riflessioni e strategie per formare lettori e promuovere la lettura a scuola. Appunti sul convegno di Adotta l'autore, Pesaro 2015

8° Convegno Adotta l'autore
Pesaro, 8 settembre 2015



Il convegno svoltosi presso il Teatro Sperimentale di Pesaro è stato aperto dai saluti istituzionali: Daniele Tagliolini presidente della provincia di Pesaro e Urbino, l'assessora alla crescita (tradotto per i non pesaresi: all'istruzione) Giuliana Ceccarelli e Marcella Tinazzi, dirigente dell'Ufficio scolastico provinciale.
Al di là della ritualità dei saluti, l'assessora e la dirigente, entrambe donne di scuola, hanno fatto riferimento a  esperienze concrete nel campo della lettura a scuola. 

Tinazzi ha raccontato la riuscita del patto fiduciario con gli studenti del Classico Mamiani di Pesaro dove, quando lo dirigeva, aveva messo cataste di libri della biblioteca sparse in diversi ambiti dell'istituto per un prestito libero e sburocratizzato.
Ha concluso citando la "lettura come immortalità all'indietro", l'esserci già quando Renzo sposò Lucia, quando Caino uccise Abele, di cui Umberto Eco ha parlato agli studenti pesaresi in un recente incontro pubblico.


Quest'anno a creare la giusta atmosfera per le successive riflessioni del convegno ha provveduto la "conferenza buffa" di Antonio Catalano, artista e artigiano per universi sensibili. (Si veda il sito:http://www.universisensibili.it) Con una serie di racconti, poesie, nonsense, ha fatto risuonare parole apparentemente scombiccherate ma piene di suggestioni. 



Cercava in un quadernino massime ed aforismi in libertà: "Ricordatevi che a volte la catastrofe è l'inizio della felicità", "La scoreggia è l'anima del fagiolo che vola via". Ha poi iniziato a raccontare di un padre lucano che lo svegliava alle tre di notte per raccontargli le storie dell'orco, perché diceva "le storie ti aiutano a crescere in modo armonico".
Nel filo di parole e di racconti con cui il conferenziere comico ha affascinato la platea, ora sussurrando, ora alzando i toni, tra riso e malinconia, il padre orco diveniva fornaio e raccontava storie con le mani e con gli sguardi. 
Perché, sostiene Catalano, il primo atto del leggere è quello di impadronirsi della lettura del mondo. Il padre fornaio con la pasta per fare il pane costruiva mondi e personaggi, che poi schiacciava tutti insieme e li usava per fare la pizza. Così gli dava in pasto quei mondi immaginati.
Con un divertente gramelot ha poi raccontato di uomini primitivi e di aviatori, concludendo con un'altra massima: la malinconia è la zia della filosofia.

Stefania Lanari, libraia delle Foglie d'oro e organizzatrice del convegno (vedi il programma sul sito adottalautore.it), prima di introdurre l'intervento della professoressa Silvia Blezza Picherle, docente presso il Dipartimento di Filosofia, pedagogia e psicologia dell'università di Verona ( si veda l'interessante sito da lei curato: raccontarencora.org, ricco di materiali e riflessioni sulla promozione della lettura), ha raccontato di due insegnanti passate in libreria a dire che rinunciavano in partenza al progetto di Adotta l'autore motivando la loro scelta con un disarmante "tanto i ragazzi non leggono nulla".



I recenti dati sulla lettura dei ragazzi sono in calo, anche se di solito i giovanissimi sono in controtendenza rispetto agli adulti che leggono pochissimo.
Ma la scuola può fare molto, anzi secondo Picherle deve proprio riappropriarsi del suo ruolo di promozione della lettura, che troppo spesso ha delegato.
Le riflessioni, anche piuttosto critiche verso le superficialità di certe promozioni alla lettura, sono nate da 20 anni di ricerca e azione con la collaborazione di docenti di scuola materna, elementare e media e poggiano le basi in una pregressa attività di maestra elementare che permette alla Picherle di evitare discorsi astratti o di pura polemica teorica. 
Gli insegnanti  devono fare un lavoro diverso rispetto a quello degli animatori, leggendo bene ad alta voce senza scimmiottare gli attori. 
Gli eccessi di animazione distraggono dalla peculiarità della letteratura. Deve essere patrimonio della scuola  la lettura letterario-espressiva che va a fondo nel testo e cerca di inoculare un interesse  duraturo nei giovani studenti, facendone dei lettori maturi.  
In Italia i saggi della Picherle sono tra i pochi contributi teorici ad riflessione critica sulla promozione alla lettura, a parte un interessante contributo del bibliotecario Luca Ferrieri
In Italia c'è una grande frammentazione della promozione alla lettura, sarebbe bene che le varie istituzioni lavorassero in maniera più collaborativa e consapevole, evitando il rischio di omologazione.
Picherle ha criticato certe gare di lettura che scimmiottano la trasmissione rai  Un pugno di libri, con gare di lettura più incitanti all'agonismo che alla reale padronanza dei testi, con domande nozionistiche o su aspetti esteriori al testo, su minuzie. Spesso gare con bibliografie troppo corpose. 
Bisogna chiedersi cosa ci proponiamo con i tornei di lettura.
Anche l'incontro con l'autore è spesso eterodiretto, con domande studiate a tavolino dai docenti e non lasciate alla spontanea curiosità dei ragazzi. 
Accenti critici anche  nei confronti della febbre da festival, con gli autori spesso usati in maniera puramente promozionale.
Spesso da parte dello stato si spendono soldi per inutili campagne pubblicitarie (soldi che si potrebbero investire nelle sguarnitissime biblioteche scolastiche, ndr).
La professoressa ha parlato dei laboratori per la costruzione dei libri per i bimbi della materna o della primaria, dove per il 90% il lavoro è grafico e pittorico e solo per il 10% propone una esperienza di lettura o di scrittura.
Si cita spesso Pennac e i suoi precetti sui diritti del lettore, ma spesso non li si mette in pratica ingabbiando la lettura.
C'è chi strumentalizza il testo per trattare temi in programma, si può fare ma non è promozione della lettura. C'è chi psicologizza troppo le fiabe (e qui Picherle cita in negativo Vegetti Finzi).
Tutti i romanzi di qualità sono laboratorio di emozioni.
Bisogna conservare l'orecchio acerbo rodariano.
Le critiche della relatrice vanno anche a colpire gli albi a tema (uso del vasino, etc) e i manuali della Erikson che propongono dei brutti percorsi sulle emozioni.
In realtà di emozioni e di riflessioni se ne trovano in albi belli come Che rabbia! della Babalibri, senza schede in fondo al libro come nell'assurdo e brutto Pingu, che propone una verifica oggettiva con tanto di crocette, scritta con un linguaggio astruso e assolutamente inadatto per l'età prescolare cui è diretto il libro.

Nelle sue ricerche Picherle ha anche appurato come spesso vengano imposte e rifiutate dai giovani delle scuole medie letture come Il fu Mattia Pascal e La coscienza di Zeno.
Dal Ministero, che promuove con fior di quattrini campagne promozionali inefficaci, non arrivano indicazioni (e neanche soldi per le sguarnite biblioteche scolastiche, ndr). 
Bisognerebbe evitare il bombardamento di eventi e fare promozione di qualità, entrando in fondo al testo (verbale, iconico, iconico-verbale). Creare motivazione a leggere generata da piaceri  profondi. La qualità dei libri arricchisce umanamente, porta all'esplorazione del testo, dei suoi sensi e dei suoi significati. Il libro è solo un oggetto, è in ciò che contiene e come lo dice la sua bellezza.
Si può far capire la bellezza dei testi attraverso la lettura ad alta voce, attraverso dei giochi mirati, attraverso la rilettura. Per creare un lettore dalle tante anime. 
Lettore che si immerge ed entra in profondità nel libro (come nell'albo illustrato La piscina). 

Picherle cita alcuni autori che hanno riflettuto sulla lettura:
Libro per essere libero (Rodari), libro come oggetto sedizioso (Pontremoli),
Le parole sono finestre oppure muri (Rosenberg). 
Per concludere il suo intervento (utilmente accompagnato da slide con dati bibliografici ed esempi dei testi citati) la studiosa ha fornito alcune indicazioni operative per una promozione della lettura di qualità:
a) selezionare e scegliere opere di qualità
b) impadronirsi di una metodologia di qualità
c) rendere i bambini protagonisti
d) creare una comunità interpretativa: scegliere insieme; riflettere e pensare in comune; cercare insieme i significati
e) agire con tempi distesi (è la qualità che conta, non la quantità)
Gli albi illustrati con lo stile iconico e verbale, se ben disegnati e ben scritti permettono di confrontarsi con temi difficili come quello della morte, vedi L'anatra, la morte e il tulipano di Erebruch o Snow del poeta Delern. 


 


A seguire  Sabrina Hilpisch ha parlato della sua collaborazione con le scuole medie del Canton Ticino e le loro biblioteche, dove legge e crea momenti di animazione supportando il lavoro degli insegnanti. 





La sua passione per la lettura per ragazzi è nata dal frequentare attività e biblioteche insieme ai figli. Utilizza anche giochi, come Dixit, che sviluppano la voglia di narrare e di fantasticare insieme.



I libri vanno letti fino in fondo e ben presentati, non bisogna nascondere ai ragazzi che la lettura può anche essere fatica e allenamento (come d'altronde lo sport). Di solito lei si ferma un po' in biblioteca dopo l'incontro con le classi per dar modo ai più timidi di porle domande sui libri senza essere ascoltati dai compagni.
Ha iniziato anche ad organizzare un festival di incontri con gli scrittori, coinvolgendo due classi che non si conoscono che dovranno prepararsi insieme all'approccio con l'autore.

Luigi Dal Cin, scrittore per bambini che viene dal mondo dell'ingegneria ambientale dice scherzando che potrebbe mettere su un gruppo di aiuto per ex ingegneri. Scherza anche su come i bambini negli incontri che fa gli chiedano spesso come faccia ad essere ancora vivo, essendo lui uno scrittore data l'aura un po' imbalsamatoria delle antologie scolastiche. Ha raccontato anche di altri momenti buffi degli incontri, come quando all'ennesima domanda su come faccia a scrivere così bene, ha chiesto al bambino di 6 anni cosa intendesse per "scrivere bene" e quello gli ha risposto mostrando i caratteri del libro: sembra fotocopiato.

Dal Cin nota con un po' di preoccupazione che in questi anni risulta sempre più difficile per i bambini l'invenzione delle storie.
Spesso chiedono come mai le fiabe finiscano bene quando invece nella realtà o nel rispecchiamento che ne danno i media le cose non vanno così..
Cita Yeats che sosteneva come le fiabe fossero la più alta forma di aristocrazia letteraria, perché nella trasmissione orale, di generazione in generazione, hanno perso tutto il superfluo.
Dal Cin lavora anche in situazioni difficili, come quando ha incontrato i bambini  colpiti dal terremoto in Emilia. Sostiene come sia importante dare ascolto al loro bisogno di raccontare, per non lasciare che traumi e paure gli rimangano nascosti dentro. Bisogna predisporsi all'ascolto senza pretendere un linguaggio e un approccio diretto, i bambini usano spesso personaggi inventati per raccontarsi.
Quando si scrive ci si chiede spesso che senso abbia raccontare storie, e la risposta forse la può dare Sherazade delle Mille e una notte, che fa salva la vita attraverso le storie che racconta al re sanguinario e lo fa anche pentire dei suoi crimini. Le storie sospendono il tempo.

Enzo Covelli, attore e libraio della Libreria per ragazzi Miranfù di Trani è partito dal raccontare la sua esperienza da Guinnes dei primati, un libraio che fino a vent'anni non aveva mai letto un libro. Studente bocciato a ragioneria era stato mandato a lavorare in segheria. Poi durante il servizio militare era finito all'Elba presso il Carcere di massima sicurezza di Porto Azzurro dove aveva fatto la guardia carceraria sotto la direzione iper repressiva di un direttore del carcere.
Veniva quindi spesso mandato, come forma di punizione, ore e ore in una garitta     sospesa davanti al mare. Qui per far passare il tempo aveva iniziato a leggere, scoprendo come i libri potessero riempire le ore e la vita: 63 libri in sei mesi. Una passione che lo aveva poi portato a Cervia per seguire una scuola di burattinaio, occupandosi di teatro di figura per circa sette anni. Poi a Macerata si era iscritto ad un corso di invenzione narrativa curato da Dal Cin presso "La fabbrica delle favole". Per quel corso aveva anche rinunciato ad un posto stabile in una compagnia teatrale. In quel corso aveva conosciuto la sua futura moglie con la quale ha poi deciso di aprire una biblioteca per ragazzi in un quartiere periferico di Trani. 

Libreria che cerca di avere una funzione sociale, incorporando uno spazio di biblioteca autogestita ed uno di book crossing. 



Si occupa anche di animazione nelle scuole o nei festival della lettura (e qui scherza un po' sulle severe parole di Pincherle al riguardo). Hanno anche comprato un'Ape trasformandola in una biblioapecar.
Conclude il suo intervento citando alcuni libri per ragazzi cui è particolarmente legato: tutti i romanzi di Mino Milani, Cappuccetto rosso a Manhattan, Dakota dalle bianche dimore di Ridley. 

A concludere gli interventi di una mattina lunga e densa arriva, scherzando sulla fame degli astanti, Antonio Ferrara, scrittore e illustratore, divenuto ormai un esperto degli incontri con i lettori ragazzi. Lo scrittore ha dato qualche indicazione agli insegnanti su come condurre bene un incontro con l'autore.
Intanto partire da libri che l'insegnante conosce e che ama,  leggendoli ad alta voce e accompagnandoli. 



Si è raccomandato di non far preparare le domande in maniera rigida ed eterodiretta, altrimenti i ragazzi saranno preoccupati solo della loro domandina scritta sul foglietto e neanche ascolteranno domande e risposte dei compagni e dello scrittore.
Ovviamente non va delegato allo scrittore il mantenimento dell'ordine pubblico della classe (purtroppo a volte accade persino che l'insegnante chieda se è necessario che lui rimanga in aula durante l'incontro!).
Ha citato la poetessa Chiara Carminati che dice come nasconda in ogni sua pagina almeno una parola difficile per donare ai ragazzi la possibilità di ampliare il proprio lessico. 
E ha sottolineato come parola e parabola abbiano un'etimologia comune, parola come confronto, come insegnamento.
I libri per ragazzi per emozionar(li)si e costruire la propria educazione sentimentale. 
Ha parlato di come l'artista possa essere un po' sciamano, ricordando in conclusione l'esperienza dell'artista Joseph Beyus, che caduto con il suo aereo tedesco durante la II Guerra Mondiale venne salvato da nomadi tartari attraverso le loro medicine naturali e si accostò alla cultura degli sciamani. 
Tra gli scrittori per ragazzi ha citato l'unicità del linguaggio di David Almond, autore di Skelling e di altri bellissimi libri per adolescenti.



Nel pomeriggio si sono svolti dei workshop con alcuni dei relatori. Cercherò di darne conto in un prossimo post, condividendo i miei appunti.




sabato 15 agosto 2015

"Dar da mangiare agli affamati". Se lavori da Mc Donald's non puoi...


                                   
                                            Olivuccio di Ciccarello, Dar da mangiare agli affamati, Pinacoteca Vaticana (XIV-XV secolo)




Siamo di fronte ad enormi problemi di diseguaglianza. Nonostante i passi avanti moltissime persone non hanno la sicurezza alimentare, molti conflitti stanno facendo fuggire milioni di persone dalle loro terre.
Problemi non semplici da risolvere, che spesso tirano fuori il meglio o il peggio di ognuno di noi.
Oppure che ci spingono ad atteggiamenti di rimozione.
Tra gli esempi di comportamento imbecille, prima ancora che inumano, cito quello della direzione di un Mc Donald's francese che ha imposto ai lavoratori di non donare il proprio panino ai clochard, panino, beninteso, cui i dipendenti hanno diritto per la pausa pranzo.
Rimando all'articolo di Davide Mazzocco su Yahoo notizie.